Nel vedere il mio volto mi scambieresti per un albino, i miei capelli sono bianchi, alcuni dicono d’argento, i miei occhi sono grigi, vedo lo spirito delle cose, lo sento sussurrare, lo respiro e lo plasmo, sono uno Spirituale.
Da sempre conviviamo con voi, da sempre all’oscuro della vostra “progredita” civiltà ci adoperiamo per tramandare le nostre conoscenze, la nostra scienza, il nostro credo, da sempre sorvegliamo i cancelli per il “Nessunverso”, da sempre siamo perseguitati dalle vostre bigotte concezioni del mondo e del “giusto”, da sempre preserviamo la vostra “civiltà”, da coloro che corrodono lo spirito.
Ed anche in questi tempi ci guardate con sospetto perché siamo diversi; eppure nel momento del bisogno siete “caritatevoli”, venite alla mia persona con doni e parole gentili affinché vi liberi dal male che la vostra mentalità ha creato.
Dovrei allontanarvi, scacciarvi dalla mia proprietà, rinfacciarvi la vostra stupidità, prendere i vostri doni ed abbandonarvi al vostro destino. Ma io non sono come voi. Imbraccerò le mie poche armi, indosserò la mia armatura, rifiuterò i vostri doni e combatterò i demoni che vi opprimono, perché io non sono come voi, sono uno Spirituale e la mia dottrina mi proibisce di abbassarmi al vostro livello.
Erano state le mie ultime parole a quella gente, parole forse dette con astio ma sincere, parole che segnarono l’inizio del mio viaggio verso sud, verso questa città, verso questa mia nuova vita.
Prima di quel giorno non avrei mai immaginato che avrei lasciato il mio casolare, il luogo dove sono nato, cresciuto, il luogo dove imparai a camminare, a parlare, ad amare qualcuno così tanto da non poter respirare, ed ora che mi ritrovo qui a fissare le verdi guglie del Duomo, sento che quel sentimento di nostalgia ed eterna malinconia sta sciamando, lentamente, come le acque di questo placido fiume.
L’incontro con questa città è stata una conseguenza, forse non proprio diretta, di una delle mie cacce. Bert, il capo della comunità dove sono cresciuto, un uomo alto, capelli corti, occhi svelti e fisico flaccido, era consigliere comunale prima dell’”inizio”; egli mi parlò intimorito della morte di Jacopo, il figlio del sarto e di Mirco, il figlio del falegname. Il medico mi parlò di una morte ambigua, i due ragazzi erano nel pieno della loro virilità, sani, forti era tutto troppo strano e non vi erano metodi per stabilire con certezza le cause del decesso. In fine le uniche cose veramente interessanti che riuscii a tirargli fuori era una sorta di sogno ricorrente che i ragazzi facevano, un sogno dove “camminavano nella luce del signore”.
A ben pensarci non diedi molto peso a certi altri dettagli, allora ero troppo disgustato e, nel contempo, divertito nell’osservare quella folla di uomini “retti” che servilmente si rivolgevano al mostro. Ovviamente quel mostro ero io.
Quando le loro parole iniziarono a disgustarmi decisi che era ora di andarmene.
Lasciai i miei concittadini dove stavano, nel mio salotto, mentre mi avviavo, briglie in mano, alla stalla. Era mia consuetudine essere sempre pronto alla morte o ad un’improvvisa partenza, lo ero dall’età di 14 anni, da quando mio nonno materno iniziò a prendersi cura di me.
Sellato il cavallo ed indossato in mio equipaggiamento superai la folla di popolani mentre lasciavano la mia tana, un ultimo mio cenno del capo non corrisposto fu il mio saluto.
La strada si apriva davanti a me di tanto in tanto permettendomi di scorgere la vallata. l’inverno era appena finito e sugli alberi iniziavano ad intravedersi i primi germogli, purtroppo non sufficienti a rendere meno tetro il paesaggio e certo il vento gelido del nord non aiutava, costringendomi ad issarmi il cappuccio sulla testa e a stringermi stretto nel mio soprabito. Dopo 15 minuti arrivai al borgo.
Il paese di Vas era un borgo medioevale che riprese vita dopo l’armaggedon in funzione della sua difendibile posizione e della visuale che esso offriva, in fatti dal piazzale della chiesa era possibile osservare lo scorrere del Piave e buona parte della valle, in tal modo era possibile avvistare per tempo razziatori, mercanti itineranti e saltuariamente i pochi viandanti che si spingevano a monte o a valle in certa dei pochi nuclei di civiltà ancora esistenti.
“Civiltà”. Forse una parola un po’ troppo forte per una società basata sulla sopravvivenza e sulla legge del più forte. Certo nei primi anni dell’armaggedon l’essere umano divenne più nobile nell’animo riportando alla luce sentimenti poco diffusi come la carità. Poi però la progenie demoniaca diminuì di numero; non erano più così tanti da poter oscurare il cielo o prosciugare i fiumi, erano rimasti solamente coloro che hanno saputo adattarsi, a mutare, lasciando così il tempo all’uomo di far riaffiorare i suoi più bassi istinti, quegli stessi istinti che portarono l’essere umano in quest’epoca oscura, ed ecco che allora i più opportunisti si dedicarono alle razzie, ad una vita fatta di desideri e puro istinto, cosa che portò l’uomo a vivere isolato ed in comunità chiuse per poter proteggere la propria vita, le proprie proprietà e la propria sopravvivenza. Cose queste che danno da mangiare a gente come me.
E così eccomi al borgo. Paradossalmente sembra di essere ritornati al medio evo. La gente mi guarda sempre con sospetto quando passo tra di loro, come se fossi uno dei demoni, non importa quanto io abbia fatto per loro. Stronzi.
Mi dirigo a passo sicuro verso la casa del falegname e dopo aver bussato, una donna sulla cinquantina mi apre la porta. “salve sono qui per vostro figlio” e di rimando la donna mi fissa con occhi vitri quasi incredula “mio figlio è morto” mi sussurra con un filo di voce rauca dal pianto, “appunto” le rispondo facendo un passo avanti nella piccola casa, “dove è morto?”.
La donna sconvolta mi fissa senza rispondere e così dopo alcuni secondi decido di arrangiarmi, “faccio da solo signora, non si preoccupi” e mi dirigo in cucina dove una marmitta borbotta sul fuoco, riempiendo l’aria con il profumo di un minestrone. Mi siedo su di una sedia fissando lo scarno arredo, sorridendo alla vista di un televisore.
Dopo alcuni attimi in quella stanza già avverto il respiro del tempo passato, un respiro che puzza di cipolle e terra, di menta e carote, di pane, di trucioli di legno, faggio, abete, quercia, donna, una donna giovane, profumo di lavanda e… sesso.
Con un sospiro alzo il culo dalla sedia mente il marito entra in cucina brandendo una mannaia, ma non con aria minacciosa, forse più di sfida. “chi ti ha mandato?” quasi grida pur cercando di darsi un contegno, “il Sindaco” gli rispondo freddo e dopo alcuni attimi mi faccio avanti verso quell’uomo che forse vuole solo dimenticare la morte del suo unico figlio, “mi dispiace per la sua perdita, faccio solo il mio lavoro.” Così lo scavalco proseguendo per il resto della casa, e dopo una rapida occhiata alle camere, sempre sotto l’occhio criminoso del falegname, trovo la stanza del figlio.
Ad occhio e croce Mirco doveva avere circa 16 anni, alto quasi come il padre, robusto e pieno di vitalità, e mentre il suo ricordo si delinea nella mia mente il fiato del passato si fa più intenso, sino a portarmi al momento della sua morte. Mirco è morto scopando.
Valutando la situazione decisi di non dire nulla alla famiglia e lasciai la loro casa per fare lo stesso dal panettiere.
Due giovani nel pieno delle forze morti scopando nelle loro stanze con due ragazze diverse. Bella fine, devo ammetterlo, tuttavia sarebbe stata una fine ancora più fica se Mirco e Jacopo fossero stati due ultra ottantenni e non due adolescenti. Al momento optai per un problema cardiaco ma tale problema sarebbe saltato fuori prima, vista la vita molto fisica che i due giovani conducevano.
Wow mi ripetevo tra me e me, mentre seduto sul retro della chiesetta fisso il placido fiume giù a valle. Stetti li sino a sera con la convinzione che si trattava di qualcosa di strano, avevo ristretto il campo a tre possibilità: succubus, ladri di spirito, e demoni del sonno. Tuttavia ero più propenso per la prima delle tre, anche se una quarta possibilità, remota, a dir il vero, galleggiava nella mia mente.
Scivolai nel sonno senza accorgermi, venni svegliato dal prete, Don Mattia, un uomo di 30 anni dai corti capelli grigi e lo sguardo gentile. “è ancora presto per dormire sotto le stelle” disse serio mentre mi porgeva una tazza di the ed una fetta di pane e burro. Fissandolo per qualche istante, mi chiesi se la gente di questo sperduto posto sapesse quanto doveva a questo giovane prete, la sua fede era sincera, forse lo era anche prima di tutto questo, e ciò lo ha salvato, li ha salvati tutti. “grazie” dissi mente mi alzavo dalla panca “mi ci vuole proprio” aggiunsi mentre la calda bevanda riportava calore alle mie mani ed al mio corpo. “vi siete già fatto un’idea?” lo guardai per un attimo prima di rispondere “si. Ora andrò a parlarne con il sindaco. Ma vorrei chiedervi un favore, domani è domenica, vi dispiacerebbe celebrare il rito in piazza?” Mattia mi fissò per un attimo distogliendo lo sguardo subito dopo, e non potei trattenermi, scivolai furtivo tra i suoi pensieri in cerca di qualcosa. Nulla. Niente confessioni ambigue, dicerie interessanti o quant’altro. “se la giornata sarà promettente perché no.” Rispose il giovane prete dopo la sua veloce riflessione, “grazie prete. A domani allora” così mi alzai diretto alla casa del Sindaco.
Camminando per le strade buie lastricate di pietra valutavo il da farsi. Non sarebbe stato semplice e forse anche un po’ rude, ma certe cose vanno fatte e basta, senza pensare troppo alle frivolezze. Così bussai alla porta. Mi aprì Giovanna, la moglie del “sindaco”, una donna profondamente segnata dalla guerra, “buona sera. Sono qui per suo marito.” A quelle parole la donna si fece il segno della croce spingendomi ad inarcare un sopraciglio, avrei potuto indagare nella sua mente, ma mio nonno mi diceva sempre che la mente dei pazzi non è come la nostra, non è possibile distinguere realtà da fantasia, così rinunciai ed entrai in casa.
Bert era seduto nella sua vecchia poltrona e non appena mi vide si alzò in piedi e mi venne incontro. “trovato nulla?” . c’era aria di sesso in quella casa, e non di sicuro tra i due sposini. “no, non ancora. Domani farò un giro per le case mentre i paesani sono in chiesa” risposi sfoggiando il mio miglior volto ingannevole. “bene. Bene.” Rispose solerte Bert mentre si massaggiava il braccio. Avrei potuto farlo allora. Non sarebbe stato difficile. Un forte colpo al mento ed uno allo stomaco mi avrebbe dato tutto il tempo di estrarre il pugnale per finire il lavoro. Decisi tuttavia di avere delle certezze così mi congedai con un gesto del capo. Bert rimase alcuni per alcuni minuti sulla soglia di casa a fissare le mie spalle allontanarsi e solo quando la mia figura scomparve dietro ad una delle case sentii la porta chiudersi.
Il cielo notturno era completamente sgombero, i resti della luna apparivano insolitamente brillanti mentre le prime Stelle cadenti si infiammavano; poco più in la, la nera luna sbucava da oltre le cime degli alberi, quasi a voler spiare le vite di questo piccolo angolo di mondo. Calmo, il mio cavallo, si volse solo una volta verso il borgo, drizzando le orecchie e nitrendo burrascoso. Quando fa così non è mai una buona cosa. Quindi il mio sguardo raggiunse quello di Calmo e li vidi il codazzo di fiaccole che saliva tempestoso per la mia stradina, i popolani seguivano Bert brandendo forconi e gridando per darsi forza l’un l’altro. “dovevo farla finita quando potevo” ripetei i miei pensieri al cavallo.
Per fortuna non era mia consuetudine tornare a casa durante una caccia, per cui fu più semplice seguirli ad una distanza di sicurezza. Legai Calmo ad un ramo e mi avvicinai a piedi.
Quando li raggiunsi erano già dentro casa. Stavano rompendo quello che potevano, con rabbia ed odio represso. “bene. Se è così che mi ringraziano per averli tenuti invita che si arrangino.” Pensai tra me e me mentre controllavano il caricatore del mio fucile, poi un colpo secco mi stordì e ricordo perfettamente che fu Bert a colpirmi. Bert! Come diavolo aveva fatto a prendermi alle spalle?
Mi svegliai il mattino seguente. E non fu un bel risveglio. Mi trovavo a testa in giù legato ad un palo al di sopra di una grezza pira di legno; “fantastico…” mormorai con un filo di voce mentre cercavo di mettere a fuoco lo spazio che mi circondava.
“è sempre stato lui! Lui li portava alle nostre case, lui li chiamava, faceva in modo che gli abomini figli di satana attaccassero il borgo! Era tutta opera sua!” Osvald, il figlio di Bert sembrava pregno di santità mentre aizzava la folla, poco più in là vidi don Mattia avvilirsi, mi asciugo il volto mentre mormorava parole di cordolio “non vogliono sentir ragione. Mi dispiace”.
E così dopo la benedizione del mio amico Mattia, Enrico il panettiere venne a me e diede fuoco alla legna. Tra gli sbuffi di fumo e le lingue di fuoco vidi chiaramente me stesso tra la folla, vidi me stesso con le vesti di Bert.
“mai rimandare a domani quando puoi fotterli subito” fu il mio ultimo pensiero.
By Animainquieta.